È la ricetta che dalla cultura greca e romana è arrivata fino in Calabria, dove ancora oggi si fa come un tempo: cosa sapere sulla pitta calabrese tra storia e curiosità

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Dalla città di Catanzaro a quella di Vibo Valentia fino a Reggio Calabria e Cosenza, la Pitta, né focaccia né pane, è un prodotto tipico che stupisce i palati, e rappresenta uno dei simboli culinari della Calabria. Le sue origini sono legate alla cultura greca e a quella romana e si sono conservate, poi, nella cucina contadina.

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Dalla forma circolare, proposta in tante varianti, la Pitta è uno degli elementi cardini della gastronomia della Calabria. Non si tratta di una focaccia e nemmeno di un semplice pane, è un panfocaccia, spesso a forma di ciambella, che si può farcire in tanti modi o gustare per accompagnare pietanze differenti. Dalla crosticina fragrante, all’interno ben alveolata e sofficissima, con una consistenza davvero particolare, la Pitta, anche se spesso si diversifica tra le varie località per ingredienti e forma, regala un’identità culinaria davvero speciale a tutta la regione.

Un impasto versatile che si unisce ai prodotti regionali più veraci

A Catanzaro, la Pitta si prepara a forma di tipica ciambella, a Reggio Calabria e Vibo Valentia, è alta con più mollica, e in alcune cittadine di provincia, c’è la “lestopitta”, una pitta sottile quasi come una piadina, senza lievito. Nella parte della costa del Tirreno, a Cosenza, c’è, inoltre, la Pitta fritta servita con il miele. E poi, ancora, la Pitta ‘mpigliata, dolce e più soffice con aggiunta di noci e uva passa.

Pitta calabrese

Davvero tante versioni per uno stesso impasto che ogni volta stupisce per la sua golosità, farcito con i prodotti regionali più veraci: salsiccia di Calabria, capocollo, ricotta, caciocavallo, formaggio fresco, broccoli e salsicce, ciccioli di maiale, tonno e cipolle di Tropea.

Gli ingredienti della Pitta classica

Farina (spesso mista – Farina tipo 1 e Farina 0), lievito madre o lievito di birra, acqua, miele, olio EVO e sale sono alla base dell’impasto tradizionale che, dopo una lunga lievitazione e dopo avergli dato la forma di disco con un buco al centro, si mette in forno per circa mezz’ora. La Pitta si serve ancora calda. In alcune città, la stessa farcitura viene cotta insieme all’impasto, per una Pitta più rustica. La particolarità, inoltre, si ha pure per merito di un magico miscuglio di spezie ed erbe aromatiche unito direttamente nell’impasto prima della cottura.

Un panfocaccia dalle origini remote che è diventato uno dei simboli della Calabria

Pitta 'mpigliata dolce calabrese

Il nome Pitta deriva dal dialetto calabrese “pittare” che significa “spennellare”. Solitamente, si unge la superficie dell’impasto con olio prima della cottura, per evitare che diventi troppo secco. Alcune teorie collegano il termine “pittare” alla cultura greca e alla Magna Grecia, di cui il territorio è culla. Altre a quella romana: in latino, “picta” significa “dipinta”, e tale accezione ricondurrebbe all’usanza dei Romani di decorare pani e focacce da offrire in dono agli Dei. La Pitta, infatti, si lega sia alla civiltà greca sia a quella romana, grazie alla sua somiglianza con la “placenta romana”, ricetta ritrovata nel “De Agri cultura” del II secolo a.C., citata da Catone il Vecchio per descrivere una torta dolce di grano schiacciata e non lievitata a più strati e con all’interno formaggio e miele, molto simile per forma proprio a quella dellaPitta. La placenta romana, che pare derivi dal nome greco “plakous” (torta), era diffusa in tutti i territori sia in epoca Repubblicana sia durante l’Impero, ed era destinata all’alimentazione dei ceti medio-alti, spesso era offerta durante ricchi banchetti e altresì come pietanza per i soldati.

L’area di maggiore diffusione della Pitta pare sia stata la zona di Catanzaro, come spiega lo scrittore Vincenzo Dorsa, nel 1876, nella sua opera “La tradizione greco latina dei dialetti della Calabria citeriore”, dove traduce il termine Pitta, proprio, come una “schiacciata di pane”, che serviva a provare la temperatura dei forni prima di cuocere il pane comune. Verso il 1700, in alcune città, si sperimentarono, nella cucina contadina, preparazioni di Pitta dolce che ancora oggi resistono, dedicate a riti e feste per i Santi Patroni. A prescindere dalle sue origini, questo panfocaccia si è esteso in tutta la regione, la sua ricetta è tramandata da generazione a generazione ed è servita pure con altri due piatti tipici: “u suffrittu” di carne di maiale e frattaglie e “u morzedduh” di interiora e trippa di vitello. Oggi, è facile trovare e acquistare questo simbolo della cucina calabrese in molti panifici, in piccole botteghe e aziende agricole, molte delle quali, nell’epoca dell’e-commerce, sono organizzate anche per ordini e spedizioni online in tutta Italia.

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